Carla CANTORE
Foto - Arteterapeuta | Curatrice
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LA SCOPERTA DELL'EFFETTO TERAPEUTICO DELLA FOTOGRAFIA.

Durante il diciannovesimo secolo, la psicoanalisi ha cominciato ad utilizzare la fotografia per aiutare le persone ad esplorare il loro mondo interiore. Proprio all’interno di un manicomio il Surrey County Lunatic Asylum, che Hugh W. Diamond, fotografo amatore e psichatra, considerato «il padre della fotografia psichiatrica» ha colto per la prima volta la valenza terapeutica della fotografia.
Nel 1852 Hugh W. Diamond ha ritratto i pazienti del manicomio e utilizzato le fotografie come mezzo diagnostico per identificare «tipi d’insania» – «the types of insanity» dando così il primo contributo fotografico alla psichiatria Il suo lavoro fu presentato nel maggio del 1856 in una relazione presentata alla Royal Society in cui espose le sue idee riguardo i vantaggi che la psichiatria poteva trarre dall’uso della fotografia. Scoprì, che mostrare le fotografie ai pazienti, producevano effetti positivi. Essi, infatti, diventavano più consapevoli della loro identità fisica e prestavano maggior attenzione alla loro apparenza, poiché la loro autostima era rafforzata ogni volta che vedevano una foto in cui stavano bene.

Nel 1857 fu pubblicato un articolo sul «The Photographic Journal 3», di T. N. Brushfield, direttore del Chester County Lunatic Asylum, il quale aveva osservato i suoi pazienti mentre guardavano la propria fotografia ed era scaturito che si sentivano appagati da questa visione tanto da richiedere di inviarla ai propri cari.
Mentre nel 1880 William Charles Hood al Bethlem Asylum dichiarò che studiando i propri pazienti si era reso conto che per loro farsi fotografare rendeva diversa e più piacevole la giornata e inoltre esponevano osservazioni riguardo il proprio aspetto esteriore. Non solo nella psichiatria ma anche in altri ambiti professionali veniva utilizzata la fotografia e questo ha contribuito direttamente o indirettamente alla nascita della Fototerapia, dal padre del Psicodramma, Jacob Levi Moreno, che usava le fotografie come punto di partenza per le sedute di gruppo.
Il lavoro di Moreno ha offerto spunto importanti nella formulazione di progetti di Fototerapia di Jo Spence negli anni 80’. Mentre Keit Kennedy, anche se non ha mai ricevuto i dovuti riconoscimenti, è anche essa uno dei pionieri della nascita della fotografia terapeutica contemporanea. Insegnante di Arte e teatro Keith Kennedy conduce negli anni ’70, nell’ospedale psichiatrico Hendersone dove lavorava, un programma di fototerapia, il «Group Camera» le cui tecniche ha poi insegnato Joe Spence, fotografa professionista, scrittrice e attivista socioculturale.

Jo Spence, forse poco conosciuta in Italia, ha utilizzato la fotografia in maniera prolifera, si è indirizzata verso la fotografia documentaristica a forte taglio sociale, ha fondato la Photography Workshop Ltd con Terry Dennet, una piattaforma itinerante in quanto credevano nella emancipazione attraverso l’uso della fotografia, e ha seguito delle ricerche volte ad utilizzare la fotografia per prendersi cura di sé. Il metodo di Jo Spence, trasse inspirazione dal Teatro dell’Oppresso di Augusto Boal, adattando le tecniche socio-teatrali di Boal al lavoro con la fotografia e articolandole con altre idee come quelle di Edward De Bono sul pensamento creativo e quelle di Jean Littlewood sulla drammatizzazione del quotidiano; ma anche da altri tipi di linguaggi: dal cinema di Dziga Vertov, dalla FotoPerformance di Fred Holland Day, dalla Grammatica delle Motivazioni di Kenneth Burke, dalla letteratura di Lewis Carrol e dallo psicodramma di Jacob Levy Moreno.
Nel 1979 ha realizzato un libro “Beyond The Family Album” in cui ha affrontato diverse sue preoccupazione rispetto alla sua vita familiare: divorzio, malattia, relazioni madre-figlia. La Spence cerco “la rappresentazione del non rappresentabile” (Spence 1986-98).
Nel 1982 quando le fu diagnosticato il cancro elaborò il progetto “shock/cancer” e continuo così ad elaborare e mettere in scena metodi innovativi come: la “Messa in Scena Terapeutica” (Therapeutic Staging), la “Terapia allo Specchio” (Mirror Therapy), lo “Scripting” creando un copione. Nel 1984 in collaborazione con Rosy Martin sviluppò la “Terapia fotografica” o “Fototerapia collaborativa”, utilizzando tecniche di co-counseling in cui veniva invertita la relazione fotografo e soggetto. In questa nuova modalità il soggetto gestire la propria rappresentazione, è in grado di recitare la propria narrazione personale.
Quando le chiedevano il significato di Foto Terapia, Jo Spence rispondeva: “utilizzare la fotografia per curare noi stessi, prendendo sempre in considerazione la possibilità della trasformazione attiva”. [1]
La diversità di fonti di inspirazione dei metodi di Jo Spence, ben come la sua creatività e apertura mentale rappresentano, per quanto riguarda la Foto Terapia, il punto di riferimento storico agli interventi di Fototerapia di Ayres Marques, fotografo e esperto di comunicazione e linguaggi non verbali.

Nel 1979 J. P. McKinney utilizza la Fototerapia Attiva applicata agli adolescenti. Nel suo articolo Photo Counseling pubblicato nella rivista Children Today, McKinney riporta la testimonianza di una insegnante che racconta come un ragazzo tredicenne di una classe di adolescenti con problemi emozionali abbia iniziato a fare amicizia soltanto dopo aver portato in classe delle fotografie di famiglia per mostrare ciò che non riusciva spiegare verbalmente.
Robert C. Ziller, docente di Psicologia all’Università della Florida, pratica la Fototerapia Attiva, stimolando i suoi pazienti a scattare delle foto durante e fuori delle sedute terapeutiche. Una esperienza che sarà raccontata nel libro “Photographing the Self” (1990).
Nel 1975 intanto in Canada Judy Weiser, fotografa, psicologa e arteterapeuta scrisse il suo primo articolo sulla “Fototerapia”.

Dopo l’articolo della Judy Weiser, oggi maggior esponente della Fototerapia e promotrice della sua diffusione, vari psicologi, psichiatri e altre figure professionali nell’ambito della salute mentale iniziarono ad interessarsi alla Fototerapia, tanto che nel 1978 si riunirono per scambiarsi informazioni e per discutere le loro esperienze nel “Primo Simposio Internazionale di Fototerapia” negli Stati Uniti.
In Italia interessanti sono i lavori tra fotografia e psicologia: Gioia Marzi, psichiatra e micropsicoanalista, riprende il modello di Courtit e Cadoni per elaborare il suo programma di utilizzo della fotografia nella sua pratica al Centro di salute Mentale di Frosinone. Nicola Peluffo, docente di Psicologia Dinamica all’Università di Torino e direttore dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, pubblica il libro “Immagine e Fotografia”.

Fabio Piccini è un medico e psicoanalista, ha dato vita alla prima comunità virtuale italiana per pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare. Da anni si occupa dell'autoritratto fotografico e delle sue applicazioni in funzione terapeutica. Pubblica il libro “Tra arte e terapia. Utilizzi clinici dell'autoritratto fotografico”. Importanti contributi per il riconoscimento della ufficiale delle potenziali terapeutiche li abbiamo avuti da Oliviero Rossi docente nell’ambito della Psicoterapia della Gestalt e del Counseling, direttore di
due riviste – «Formazione in Psicoterapia Counseling Fenomenologia» e «Nuove Arti Terapie». Direttore del Corso di Formazione Triennale in Arteterapia (sedi di Roma, Bologna e Catania) della Nuova Associazione per le Artiterapie; professore invitato per il corso di Psicologia Dinamica presso la Università Antonianum – Facoltà di Filosofia -, dove è Direttore del Master Universitario di I Livello: “Metodologie dell’immagine video e fotografica nella relazione d’aiuto e nelle artiterapie”. Inoltre, nel 2009 ha pubblicato il libro Lo sguardo e l’azione. Il Video e la Fotografia in Psicoterapia e nel Counseling, in cui parla della sua esperienza con la fototerapia e la videoterapia, spiegando anche come vi è giunto. Invece C. Parrella coordina da circa sei anni un Laboratorio di Fototerapia attivo presso l’ASL2 di Lucca e sorto proprio grazie alle esperienze da lui maturate nell’ambito dell’arteterapia, al quale ha dato il suo contributo anche mettendo a punto le tecniche della VideoBiografia, del VideoDilemma e del VideoTraining, utili nei progetti di prevenzione al disagio adolescenziale.

Viene riconosciuto così che la fotografia è uno strumento che nel setting terapeutico può essere utilizzata per favorire la narrazione di sé e della storia del paziente, superando i limiti e le difese dei resoconti verbali. Molte informazioni si possono trarre grazie all’analisi delle foto di famiglia: sulle dinamiche, interazioni, sui confini e così via. L’utilizzo delle fotografie migliora l’autostima, promuove il confronto di sé e permette di esplorare i propri vissuti emotivi, non solo rispetto alle foto contenute nei propri album ma anche attraverso la produzione di nuove fotografie o di altrui fotografie.


Carla Cantore | Arteterapeuta

Web bibliografia
[1] Jo Spence cit. http://www.psychomedia.it/pm/arther/fotogr/deangelis.htm

Bibliografia
Acocella Anna Maria e Rossi Oliviero (2013) Le nuovi arti terapie. Percorsi nella relazione d’aiuto. Franco Angeli S.r.l. Milano
Barthes Roland (1980) La camera chiara. Nota sulla fotografia. Einaudi, Torino
Barthes Roland (2002) L’impero dei segni. Piccola Biblioteca Einaudi, Bologna
Piccini Fabio (2010) Tra Arte e Terapia. Utilizzi clinici dell’autoritratto fotografico. Cosmopolis da M.G. Torino
Rossi Oliviero (2009) Lo sguardo e l’azione. Edizioni Universitarie Romane, Roma
Weiser Judy (2013) FotoTerapia. Tecniche e strumenti per la clinica e gli interventi sul campo. Franco Angeli S.r.l. Milano
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