ESISTE UNA DIFFERENZA TRA FOTOGRAFIA MASCHILE E FEMMINILE?
Quale è la differenza tra fotografia maschile e fotografia femminile, a mio parere ritengo che non esista una discordanza, la questione si fonda su una diversità di noi essere umani. Noi tutti, siamo persone diverse, con interessi e competenze diverse e utilizziamo il linguaggio fotografico per raccontare ciò che a noi sta a cuore.
E’ stato interessante venire a conoscenza tramite l’arch. Sabrina Lauria della esistenza di Adelina Sampietro, bernaldese, che è stata la prima donna che si è cimentata con la fotografia in Italia, la quale era figlia di arte, di un pittore e fotografo.
Considerato il periodo storico ritengo che Adelina Sampietro abbia avuto la possibilità di potersi dedicare alla fotografia proprio perché il padre si occupava di questo e quindi la famiglia l’ha sostenuta in questa sua passione, diventando una pioniera delle arti visive e della emancipazione femminile.
Situazione simile avveniva nel Regno Unito dove la Jiulia Margaret Pattle nota con il cognome del marito Cameron, inizia nel 1863 a dedicarsi alla fotografia. Sicuramente la Cameron come la Sampietro avevano sensibilità, capacità tecniche e idee ma anche per lei la famiglia (ricordiamo che era la prozia materna di Virgina Woof) è stata essenziale per poter intraprendere questa strada, fu proprio la figlia a regarle l’apparecchio fotografico e lei si dedicò soprattutto al ritratto di familiari, amici e persone che conosceva, creando così un nuovo senso di prospettiva: il primo piano.
Quindi per entrambe queste donne, per potersi dedicare alla fotografia è stato essenziale avere l’appoggio del proprio ambiente familiare, perché dobbiamo considerare i tempi in cui entrambe vivevano che consideravano le donne non al pari degli uomini, non avevano gli stessi diritti e questo sicuramente ha portato a una minore diffusione della fotografia tra le donne.
Tale diffusione ha proprio come basi la possibilità di indipendenza e autonomia, per poter fotografare bisogna potersi muovere, viaggiare, guidare ecc. A tal proposito dobbiamo considerare che negli Stati Uniti la donna ha iniziato ad avere il diritto di voto nel 1920 mentre in Italia arriviamo al 1948 e questo ha portato come risultato che Dorothea Lange ha potuto studiare fotografia (oggi ci sono pochi centri di fotografia riconosciuti dal MIUR in Italia) tra il 1915 – 1917, ha fotografato il mondo ma poi si è fermata a San Francisco per aprire un suo studio fotografico.
Sicuramente la sua sensibilità ma anche la sua stessa vicenda familiare la portò a dedicarsi al reportage sulle condizioni di immigranti, braccianti e operai. E’ stata inviata dal FSA (Farm Security Administration) negli anni ’30 insieme a Walker Evans ed altri fotografi a documentare i contadini che avevano abbandonato le campagne a causa delle tempeste di sabbia. Ha partecipato alla creazione della Magnum Photo.
In Italia invece la condizione femminile prevedeva che le donne si occupassero prevalentemente della famiglia e se svolgevano dei lavori erano sempre e solo per dare un sostegno economico alla famiglia ma non per un proprio interesse o attitudine.
Dobbiamo arrivare agli anni 50-60 per avere la prima documentarista freelance che girò l’Italia Marcella Pedone, ancora poco conosciuta, ma che con una cinepresa Bell&Howell, è entrata nel mondo prettamente maschile della produzione di documentari. Nelle sue immagini, fisse e in movimento, Marcella Pedone ha mostrato la natura, la società, le feste e le tradizioni dell’Italia del boom economico. Viveva tra le montagne, con i pescatori e i contadini.
Andava in posti da sola, dove di solito per le donne era proibito recarsi, e racconta che in un paesino lucano le signore del luogo la invitarono a confessarsi. Sbigottita lei chiese il perché e loro risposero: “perché porti la macchina da sola”. Per loro era peccato.
In quel periodo le case editrici appaltavano il lavoro solo agli uomini, le grandi aziende diffidavano della donna che viaggiava senza un maschio vicino. Se eri come Marcella Pedone le porte del fotogiornalismo si chiudevano anziché aprirsi anche se tutti le dicevano che era brava. Il lavoro di Marcella Pedone è stato a lungo misconosciuto. A causa della posizione subalterna della fotografia destinata all’ambito editoriale divulgativo rispetto ad altri ambiti più prestigiosi, come ad esempio la fotografia pubblicitaria, ma sicuramente anche a causa della sua condizione femminile rispetto a quella dei colleghi uomini.
Le autrici che espongono qui in questa mostra Sonia Maria Pia Sacco, Antonella Marzano,
Carmela Santangelo, hanno inquadrato quell’elemento della realtà che a loro stava a cuore, che le ha catturato, ha richiamato la loro sensibilità di essere umano, per questo troviamo chi ha fotografato gli animali, chi il proprio territorio, chi il luogo che ha visitato.
Queste fotografie raccontano di loro, del loro amore per i viaggi, per la terra in cui vivono, per la natura; questo è ciò che ci permette di fare la fotografia, di raccontare con immagini e loro lo hanno fatto, hanno reso l’invisibile, la loro interiorità in visibile attraverso queste fotografie oggi qui in mostra. Concludo dicendo che se c’è una differenza nel senso del vocabolario Treccani di: mancanza di identità, di somiglianza o di corrispondenza fra persone o cose… quindi di elementi fotografati dagli uomini e dalle donne; questo avviene proprio perché la donna ha dovuto essere forte, coraggiosa e lottare uscire dagli stereotipi dell’epoca come è avvenuto per la Carla Cerati, che vedevano la donna in casa ad accudire la famiglia. Le donne nelle fotografie hanno ripreso quello che ritenevano importante, ciò che valeva la pena documentare; la Cerati che lavorava come reportagista per l’Espresso si è dedicata alla lotta per la chiusura dei manicomi e proprio grazie al suo documentario sulle condizioni di queste strutture raccontato nel libro “Morire di classe” che la legge Basaglia nel 1978 è stata accolta. Sono stata contenta di averla conosciuta prima che venisse a mancare, ho parlato con lei del suo progetto, perché mi stavo documentando su come svolgere il mio reportage in un Centro per la cura dei disturbi del comportamento alimentare, poi pubblicato “Mirrorless - senza specchio”. Era una donna che aveva conosciuto cosa significava lottare per la propria libertà, la propria indipendenza, per avere la possibilità di potersi dedicare ai propri interessi, ai propri amori.
La Lisetta Carmi ha iniziato a fotografare durante gli eventi genovesi del 30 giugno 1960, ha realizzato una serie di reportage sociali legati prevalentemente all’ambiente genovese e alle condizioni lavorativi dei camalli del porto. Anche se il lavoro per cui oggi viene ricordata di più è quello dedicato ai travestiti che popolavano i vicoli di Genova negli anni ’60. Il primo reportage italiano che raccontava un pezzo di vita della città che normalmente veniva visto con disprezzo e imbarazzo dal resto della popolazione. Ecco le donne fanno questo lottano per gli altri, perché chi soffre possa avere la possibilità di essere riconosciuto come individuo, come persona, di avere dei diritti.
Come la fotografa italiano più conosciuta al mondo Letizia Battaglia che ha raccontato i fatti di mafia ma non solo anche la speranza e la solidarietà della sua terra.
Queste donne hanno tutte qualcosa in comune hanno lottato per fare un mestiere che veniva considerato un lavoro non adatto alle signorine. Una lotta che le donne hanno dovuto fare nel corso del tempo per poter svolgere tanti altri mestieri considerato adatti solo al genere maschile, quindi la questione è prevalentemente legata al pregiudizio su cosa una donna possa svolgere come lavoro e queste donne hanno dimostrato che la scelta non dovrebbe essere fatta a priori e da qualcun altro ma dall’individuo; il quale donna o uomo che sia dovrebbe in tutto il mondo essere libero di poter scegliere quale professione svolgere e avere le stesse possibilità di poter provare e di poter dimostrare in maniera personale le proprie capacità e il proprio valore
©Carla Cantore
Arteterapeuta - Fotografa